Qual è il giusto tempo di caricamento di un’Esperienza?

Tutte le volte che prendo un aereo low cost, è la stessa storia. Il piccolo risparmio di qualche decina di euro per il biglietto si traduce in un costo enorme – per una persona come me insofferente a tutto ciò che scosta dallo scenario ideale – in termini di code, attese, frustrazione, segnaletiche e comunicazioni ambigue. Tanto che uno dei buoni propositi del nuovo anno è proprio quello di abbandonare le compagnie low cost (ma questa, è un’altra storia).

Quando mi trovo in coda, penso spesso che qualsiasi condizione di attesa non resisterà alle nuove generazioni (desiderose di avere tutto, subito) e alle dinamiche a cui l’economia dell’esperienza ci sta abituando.

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L’istantocrazia è pervasiva, è già entrata nelle nostre teste e non ne uscirà più.

Ma subito, mi fermo: forse, non è possibile (ed è troppo riduttivo) generalizzare?

Sul tempo di caricamento di un’esperienza

Dopo pochi attimi di tempo impiegati con poco successo da un utente per accedere a un sito web, lo stesso abbandonerà a favore di altre mete – magari, a favore di siti web di altri concorrenti. Questo è uno dei dogmi ben fissi nella mente dei progettisti digitali, che devono curare con attenzione la velocità di caricamento degli artefatti che producono. Tale velocità è a sua volta decisiva per migliorare l’esperienza digitale complessivamente vissuta dalle persone connesse.

Ho usato l’esempio di un sito web e dell’experience positiva / negativa abilitata dalla sua velocità di caricamento come metafora utile per pensare (e/o ripensare) alla velocità di caricamento dell’esperienza, termine a sua volta interessante per riflettere sul valore più ampio e complesso di qualsiasi esperienza.

Una domanda che reputo importante, è questa:

Oggi, è sempre vero che tutte le esperienze devono “caricarsi” in modo rapido e immediato?

Pensandoci, credo di no: tutto dipende dall’esperienza che stiamo progettando. E due prospettive di customer experience sembrano darmi ragione.

La fretta è cattiva consigliera… anche per il Marketing Tribale

La prima, viene dal Marketing Tribale. All’interno dell’omonimo libro “Marketing Tribale”, Il Professore della Kedge Business School Bernard Cova ha trattato con chiarezza il tema del tempo nel marketing. Non tutto è immediato, e per alcuni prodotti particolarmente esperienzali l’attesa è un valore. Pensa agli articoli più prestigiosi di Louis Vuitton, oppure a un nuovo modello personalizzato di Lamborghini, per cui sono necessari mesi di attesa prima di poterli vedere. E qualunque titolo, stato o qualsiasi altro tentativo di persuasione non genera alcun effetto “salta-coda”.

Ho citato due prodotti fatti a mano e la cui produzione richiede grande maestria, che fanno naturalmente lievitare tempi e costi. Ma non si tratta di una mera questione economica – piuttosto, la prospettiva del Marketing Tribale è trasversale rispetto al valore monetario. Per tale ragione, va studiata e pensata davvero bene.

Per esempio, il padre della mia fidanzata è entrato un giorno all’interno di una nota catena di barbieri di Milano. Parliamo di una giornata qualsiasi, in un’ora qualsiasi: salone semi-deserto. Nonostante questo, all’ingresso gli è stata comunicata la necessità di fissare comunque una prenotazione per avere il servizio. Non ho idea se si sia trattato di un malinteso, di un tentativo maldestro di applicare il valore dell’attesa all’esperienza di rasatura (ormai una commodity, almeno per una città di grandi dimensioni) o di a una semplice policy del negozio. Ma conosco bene il risultato: un cliente perso. Lo stesso aneddoto in una differente occasione ma di uguale risultato finale è legato al mio tentativo di prenotare un semplice servizio di igiene orale presso un dentista. Dopo 7 minuti di telefonata con la receptionist indecisa intenta a propormi orari e date posticipate di 2-3 mesi, ho riattaccato bruscamente. In 7 minuti avremmo potuto iniziarla e concluderla, l’igiene orale.

Due aneddoti per sottolineare come sempre più prodotti e servizi non riassumono la propria essenza nella semplice funzione d’uso per cui sono nati: sono elementi identitari, si antropomorfizzano e si posizionano saldamente all’interno della vita delle persone che li acquistano. Da una prospettiva narrativa sono come farmaci, o vere e proprie cure: e sappiamo che dottori, farmaci e cure sono tra le prime cose per cui occorre mettersi in fila. Ma, appunto, non si tratta di tutti i prodotti e di tutti i brand.

💡 Occorre valutare con molta attenzione i valori di marca e analizzare con cura le ragioni (razionali, emotive, …) che stanno alla base dell’acquisto di un certo prodotto / servizio agli occhi del cliente per calibrare con molta cura il tempo di caricamento dell’esperienza. 💡

Per i Cinesi, il 2019 è l’anno del maiale 🐷 Per l’esperienza, lo è sempre stato

Una seconda prospettiva di ragionamento viene dalla strategia PIG, di cui ho già parlato nell’articolo “emozioni negative per CX memorabili, secondo la strategia PIG”.

PIG, acronimo di Pain is Good, è il nome dato da Sampson Lee a una nuova prospettiva di customer experience. Secondo Lee, è evidente che lo sforzo di marche e organizzazioni di rendere indimenticabile e denso di emozioni positive qualsiasi momento che compone l’esperienza, è sia inefficace che inefficiente (perseverare nella customer excellence costa).

Su quali variabili esperienziali è allora possibile per un brand o un’azienda generare insoddisfazione e fastidio?

Stando alla strategia PIG, marche e aziende devono impegnarsi profondamente nei pilastri esperienzali dove sono riconosciute prestigiose ed eccellente, mentre possono permettersi di tralasciare le dimensioni dove altri concorrenti sono più evoluti (good pain) o che vengono percepite di poco peso dai clienti (unnecessary pain). Tempo di caricamento dell’esperienza compreso, nel momento in cui esso è catalogato come good pain o unnecessary pain.

  • Per la catena di fast food McDonald’s, il tempo di caricamento dell’esperienza è tutto. Anche solo essere secondi può rivelarsi un passo critico – se non letale. Il QSR 2016 Drive-Thru Study ha riportato alcuni dati interessanti: in quell’anno, il tempo di attesa medio a un drive-in della catena era di 208,16 secondi, mentre nel 2006 si attestava su 167,10. Un peggioramento quasi del 25% che ha causato una diminuzione del 2,10% delle visite al drive-in da parte dei consumatori statunitensi.
  • Una trattoria tipica dislocata nella campagna emiliana, durante il pranzo della domenica non teme alcuna flessione del tempo di caricamento di un’esperienza. Anzi, le persone sono lì proprio per aspettare, indipendentemente da cosa mangeranno. Portare i piatti troppo presto, potrebbe generare paradossalmente un notevole disservizio.
  • Realtà innovative come Tesla rendono il tempo di caricamento dell’esperienza una leva di ricerca e sviluppo, un modo per testare l’interesse dei clienti verso un nuovo modello di automobile, rendendolo ordinabile a fronte del pagamento di una piccola somma economica (per esempio, 1.000 €) prima di iniziarne la produzione. Nel momento in cui viene raggiunto il break even di interesse, la stessa produzione può avere inizio. In caso contrario, le cauzioni vengono prontamente rimborsate e il test dà esito negativo. Tutte le piattaforme di crowdfunding si basano su tale dinamica di audience development e creazione / validazione preventiva di una community di (potenziali) consumatori.

💡 Occorre valutare con molta attenzione tutte le dimensioni che caratterizzano l’esperienza di consumo finale: quali sono strategiche, quali unnecessary e quali good? Se il tempo di caricamento dell’esperienza non compare tra quelle strategiche, il mio consiglio è di non spenderci troppo tempo e focalizzarti su ciò che al cliente preme davvero. 💡

Il tempo non è uguale per tutti

Così come all’inizio, mi piace usare una metafora anche per concludere questa riflessione.

Capita che a volte le giornate durino un’infinità; altre, che le stesse giornate passino fin troppo rapidamente. Il tempo non è sempre uguale: né per noi, né tra noi. E così anche il tempo di caricamento dell’esperienza, la cui progettazione è da valutare per non allontanare i clienti, generando al contrario brand coinvolgenti, appassionanti, amorevoli ❣️

Posizionamento narrativo, variabili esperienzali, tipologia di audience e tante altre dimensioni devono essere comprese con cura dal CX Designer per riempire nel migliore dei modi il tempo – davvero prezioso – dei clienti.