Per qualsiasi progetto, il tema della generazione, della corretta gestione e dello sviluppo di un’audience di persone attiva, interessata e affezionata è un vero e proprio asset strategico. Oggi più che mai!
In effetti, la miriade di stimoli che ci rincorre online e offline – il sociologo Luciano Floridi ha coniato un bellissimo termine, “onlife”– ha reso le persone più diffidenti e meno affezionate a qualsiasi stimolo. Riuscire a ingaggiarle sia in maniera spot che nel tempo diventa dunque un obiettivo di rilevanza fondamentale.
Nel Content Marketing – la disciplina che vede le aziende tramutarsi in media company attraverso una produzione costante e programmata di contenuti digitali e non – l’audience principale è costituita dai subscriber. Ovvero, dall’insieme di tutti gli individui che decidono in prima persona di fare parte del mondo di marca, iscrivendosi a qualsiasi suo asset di comunicazione. Il magazine online, per esempio. O la mailing list. Oppure, ancora, ebook e white paper dedicati a specifici servizi / prodotti.
Audience Strategist: siamo davanti a una nuova professione?
Certo, sto scherzando Ma professionisti e Guru del digitale come Robert Rose e Joe Pulizzi sono certamente più seri, se hanno deciso di scrivere un pezzo intitolato “The Rise of the Audience Strategist”. Nella loro prospettiva, l’Audience Strategist è quella persona che si occupa della creazione e dello sviluppo costante dell’audience di subscriber di un brand o di qualsiasi progetto.
Una figura che connette i puntini, capace di integrare all’interno del proprio portafoglio di competenze creatività e corretta capacità di analisi del dato. Un professionista che lavora in aziende competitive – che non mancano, se prendiamo per validi i numeri proposti sempre da Rose e Pulizzi secondo cui il 90% di un panel di organizzazioni analizzate che hanno una percezione di sé come realtà di successo lavorano molto sulla propria audience.
Il mondo (professionale) che vorrei. E che vorremmo.
Forse siamo ancora in un contesto di mondi (professionali) di fantasia e impossibili, come quelli citati da Brian Solis e che ho riportato nell’articolo per FrancoAngeli “Emoji Translator, Chatbot Coach e Robot Psychologist: saranno queste le Professioni del Futuro?”.
O forse no, e sto parlando di una professione digitale (ma non solo) che ci riguarda da molto vicino. D’altronde, il Content Marketing è un mondo in piena trasformazione, non indenne alla data science.
Mondi possibili o impossibili: staremo a vedere. #FutureOfWork