Sono da sempre estremamente appassionato al mondo dei consumi.
Adoro perdermi al supermercato. Farmi stimolare dai colori (Esselunga, mon amour). guardare le forme, i tubetti, i barattoli. Ascoltare le conversazioni delle persone in salumeria, i confronti davanti ai tranci di tonno con il 30% di sconto (“sarà fresco?”). Leggere le offerte e chiedermi cosa ci sta dietro, immedesimarmi nel marketing manager della Findus che ha preso quella difficile decisione di mettere al 50% la cartuccera da 30 bastoncini pur sapendo bene che, in quanto veri e propri meme alimentari, continueremmo a comprarli e amarli incondizionatamente anche se costassero il doppio del prezzo pieno.
Attenzione: la passione è verso il mondo dei consumi, non (sempre) a quello delle marche. In effetti, verso tante di queste ultime, mi sto un po’ raffreddando.
- Le comunicazioni sempre più piatte e unificate verso quello stile colloquiale insopportabile. L’operatore energetico “di nuova generazione” che ti dice bella zio, oppure la telco che con il proprio avatar digitale (Dio salvi la retorica dilagante sulla GenZ finché regge) spera di depistare la platea rispetto a un servizio clienti deprimente.
- Le esperienze sempre più cafone, con tante aperture di temporarye pop-up something al solo scopo di grattare i soldi dei clienti in spiaggia che sotto il sole hanno abbassato le proprie difese immunitarie al consumo.
- I loghi sempre più grossi, generando un cortocircuito che trovo sempre divertente. A mio avviso, infatti, è Ralph Lauren che dovrebbe pagare me (e non il contrario) per convincermi a portare in giro il suo logo equestre di proporzioni… sproporzionate.
E via dicendo.
Insomma: brand overloading, come ha sapientemente raccontato la Prof. Maria Carmela Ostillio di SDA Bocconi nella prefazione del mio ultimo libro Brand Voice (FrancoAngeli, 2023).
Quel branding sempre più urlato, tattico, arraffa-tutto.
Esiste una via di uscita a tutto questo, capace di riportare un’esperienza di consumo emotivamente profonda, intellettualmente stimolante, narrativamente ricca?
Una possibile risposta, o meglio un’illuminazione, l’ho avuta leggendo l’articolo Brands Talk Too Much — It’s Time to Shift From Storytelling to Storyliving pubblicato su Rolling Stone. Dentro ci sono alcuni passi più scontati, altri davvero interessanti. Due stimoli in particolare, che lascio in inglese così da potere cogliere tutte le sfumature:
Your target audience needs more than to hear your narrative; they need to lose themselves in it.
The big idea — once captured in a one-time ad with a huge investment — becomes the long idea extended through a palpable experience that people want to attend and, more importantly, want to share.
L’articolo che ho menzionato solo poche righe fa mi porta a riprendere il concetto di flow, applicandolo al mondo di marca. Citando Wikipedia:
In psicologia, il flusso (flow) o esperienza ottimale, è uno stato di coscienza in cui la persona è completamente immersa in un’attività.
Non sto a parlarne di più, perché immagino più o meno chiunque di noi la conosca già. Per tutto il resto, appunto, c’è Wikipedia – e il grafico sotto.
Come si ottiene il flow, nel Branding?
Progettando e costruendo un Content Playground capace di ispirare, andando ben oltre vanity metrics e azioni di engagement tattiche.
- Size your experience. Capendo in partenza se i KPI di marca strizzano l’occhio al brand building, oppure alle vendite. Se queste ultime sono centrali, potremo per esempio estrapolare dalla Brand Narrative specifici rituali da applicare all’esperienza in store oppure online (penso all’eCommerce). Questo stimolerà piccoli ma efficaci momenti capaci di ispirare la seconda parte di customer journey del cliente. Al contrario, pensiamo in grande e diamo vita a esperienze capaci di muovere ed emozionare audience più ampie, ancora agli step iniziali del funnel.
- Consider your consumer. Analizzando a fondo i fondamentali narrativi e di engagement del brand, e poi trovando il Valore Utile Profondo (grazie, Paolo!) – ovvero l’intreccio tra questi e ciò che pensano e vogliono le persone. Quali sono le esperienze a cui i clienti desiderano partecipare, e che sono motivati a condividere?
- Enliven brand notes. Se lavoriamo con Creator e Influencer, sappiamo che questi rappresentano il primo target da convincere sulla bontà di quello che siamo e facciamo. Proviamo a fare leva su dimensioni fisiche e/o virtuali per far assaggiare loro un primo pezzo della storia di marca. Ciò porterà a una relazione più duratura e non esclusivamente basata su leve commerciali.
Si tratta di primi ingredienti di una ricetta ben più lunga e ricca, fatta di ricerca e strategia, per arricchire man mano il Content Playground dando vita a quello storyliving importantissimo per fare immergere e “perdere” completamente e multi-sensorialmente le persone nel nostro Branded Flow.
In bocca al lupo 😉