Perché non va bene parlare (solo) di Brand Purpose

Quello del Brand Purpose è uno dei mantra di questi anni ruggenti nel branding e nella comunicazione. Non è un caso che alcuni dei più grandi pensatori del marketing dei giorni nostri – da Philip Kotler a Simon Sinek – ne hanno parlato e hanno aperto diversi approfondimenti.

Ma il Brand Purpose è davvero un tema da cui inizia tutto? Personalmente non mi trovo d’accordo, ma andiamo con ordine.

La centralità del Purpose

Inizio sottolineando una cosa semplice ma fondamentale: il Purpose – quando non è una moda, uno dei tanti “washing” che popolano il marketing management di questi tempi – fa bene a tutti e tutte.

Ci sono tante analisi che mostrano una correlazione diretta e forte tra purpose, reputazione e performance economico-finanziaria. Non la elenco, ma rimando direttamente al bel libro CEO branding nella reputation economy di Alessandro Detto, Gabriele Ghini, Stefania Micaela Vitulli (EGEA Editore, 2021) e alle parole di Brunello Cucinelli:

Mai sottovalutare il prodotto, ma prima c’è l’azienda! Perché prima di comperare io mi informo: chi sei, come produci, come ti comporti con l’umanità? Quanti profitti fai? Fai i giusti profitti o sono troppo alti? Voi comprereste qualcosa da qualcuno che ha profitti troppo alti? Hai dato i giusti compensi a coloro che lavorano? E questo è totalmente diverso rispetto a quindici anni fa perché ora c’è la possibilità di documentare la coerenza tra ciò che dici e ciò che fai. Se mi fai lavorare in un luogo malsano, lo fotografo, lo pubblico e dico: “Guardate in che luogo lavoro”.

Sappiamo per esempio che uno dei modelli più solidi al mondo per misurare la reputazione è il RepTrak® composto da 7 dimensioni.

Il modello di reputazione proposto da RepTrak® (Reputation Institute)

Ecco: già questo framework restituisce la rilevanza del Purpose per la reputazione aziendale – per esempio, nelle dimensioni di workplace (lavorare e collaborare in un ambiente di lavoro più o meno “sensato”), governance (che, per contribuire positivamente alla buona reputazione, deve essere corretta, etica e trasparente) e citizenship (in termini di relazione virtuosa con l’ecosistema sociale e ambientale dove l’azienda opera).

Ampliando a una prospettiva centrata sugli stakeholder, chiunque di noi si aspetta oggi che il business sia e si comporti come agente del cambiamento. Soprattutto, come riportava già una chart (che mostro sotto) ripresa dall’edizione 2020 dell’Edelman Trust Barometer, in un periodo di forte crisi dei governi e delle istituzioni di tutto il mondo.

Brand Purpose: un’idea che deve evolvere

E allora, se il Purpose fa bene, perché sono critico?

Proprio nella distinzione che ho fatto tra Purpose e Brand Purpose – dove il secondo è incompleto. Deve adottare una prospettiva ampia, certamente multi-stakeholder ma in primis customer-centric.

Cosa significa? Lo spiega molto bene un articolo pubblicato su Harvard Business Review a cura di Gene Cornfield che ho trovato davvero illuminante.

Secondo il modello proposto nella riflessione, ci sono tre principali prospettive di analisi o sviluppo del Purpose – dove il brand compare a livello intermedio. Più precisamente:

  • il Big-P Purpose è a livello aziendale. Si tratta del Purpose fondamentale di Simon Sinek e del suo Golden Circle. Rappresenta il “perché” (why) esistenziale, ben intrecciato con la missione ma soprattutto la visione organizzativa. Senza di esso, né il modo differenziante nel portare sul mercato l’offerta (how) e né la stessa offerta di prodotto o servizio (what) potrebbero avere qualche speranza di successo.
Purpose, Mission e Vision portano all'impatto concreto dell'azienda
  • Il Medium-P Purpose è a livello di brand. Qui stanno branding, comunicazione di marca e brand marketing. Questo è il Brand Purpose così chiacchierato; per le aziende con un solo brand, Big-P e Medium-P possono anche convergere. Al contrario, realtà come P&G o Unilever declinano il Brand Purpose in funzione del portafoglio di brand. Nell’arena di interazione delle marche con i clienti, lo stesso Purpose diventa promessa e alimenta (o meno) le aspettative delle persone.
  • Lo Small-P Purpose è a livello dei clienti. Proprio le persone sono l’anello mancante di quasi tutti i discorsi sul Brand Purpose. Non a caso, Gene Cornfield ci avverte: a discapito del nome (small), si tratta del Purpose più importante – o almeno di quello da cui iniziare qualsiasi discorso e strategia.

I Customer Purpose sono tutti gli intenti, i bisogni, le domande o i risultati desiderati che potrebbero portare un/a cliente a coinvolgere la tua azienda. Pensa a tutto ciò che inizia con qualcosa come “Ho bisogno…” “Voglio…” “Come posso…” o “Puoi…”

Ogni qualvolta il cliente raggiunge il proprio Purpose grazie a noi, ai nostri prodotti e alla nostra offerta, viene generato valore che alimenta il Brand Purpose e in definitiva il Company Purpose.

La customer experience inizia dal Purpose delle persone

Ho scritto spesso di customer experience, e ho la fortuna di coordinare un Master Executive che allena Customer Experience Manager. Non dimentichiamo mai che la customer experience (come dice anche il nome!) parte dai clienti. La ricerca sull’utente che facciamo deve portare a nuovi concept esperienziali capaci prima di tutto di far raggiungere al cliente il proprio Purpose – qualunque esso sia.

Parlare solamente di Brand Purpose rischia di essere un approccio manageriale troppo miope ed egocentrico: non tiene conto della customer centricity abilitando il racconto di narrative tronfie, vuote di senso, poco rilevanti. Mentre tutti e tutte cerchiamo storie che parlano a noi e di noi.

E tu, da che parte stai?