Perché qualsiasi trasformazione digitale deve partire dai disobbedienti

Questa riflessione sulla trasformazione digitale nasce da due eventi vicini nel tempo (entrambi sono successi i giorni scorso) ma apparentemente lontani tra loro: il lancio ufficiale dell’app Immuni e l’ennesimo messaggio LinkedIn scritto da una consulente di un’assicurazione che vuole essere “Partner di Vita delle persone in tutti i momenti rilevanti: famiglia, benessere, lavoro e mobilità” (cit. dal suo sito web).

Partiamo da Immuni

Immuni sì, Immuni no. L’app Immuni è presto diventata uno dei tanti discorsi inutili che i media e le persone stanno condividendo in queste settimane: è iniziata una caccia al bug, una caccia agli stereotipi di genere utilizzati nelle grafiche, una caccia ai numeri su come NON stia funzionando, una caccia al digital divide rispetto all’impossibilità di accedervi con modelli vecchi di smartphone, e via dicendo. A pensare che chi l’ha sviluppata dalla Danimarca ha ritrasferito la sede della società in Italia…

Insomma, anche se Covid-19 ha dato una spinta propulsiva al digitale facendo per esempio segnare +350% nell’uso di ecommerce (non a caso, Campari ha acquisito il 49% di Tannico per 23 milioni di Euro) e mettendo a nudo tante retoriche, meritiamo di essere ventisettesimi su trentuno in Europa in fatto alle competenze digitali.

Passiamo alla consulente assicurativa

Cambio discorso. Qualche giorno fa, mi ha chiesto senza aggiungere nessuna intro nell’invito il contatto una consulenze finanziaria. Capita purtroppo spesso, ma questa volta ho voluto dare fiducia accettando la connessione. E come sempre ho fatto male: dopo pochi minuti, infatti, è arrivato in inbox questo messaggio.

Di solito, appena leggo comunicazioni come queste cancello subito il contatto. Ho aspettato un eventuale secondo push, che non è mai arrivato. Almeno è stata discreta, ho apprezzato.

Sul perché qualsiasi trasformazione digitale deve concentrarsi sui disobbedienti (ovvero: provo a unire i puntini)

Cosa hanno in comune le storie dell’app Immuni e della consulente assicurativa? Niente, e tutto.

Niente, perché sono storie diverse: un’app che aiuterà un’intera Nazione a rialzarsi da un lato, un episodio personale di scarsa rilevanza dall’altro. Tutto, perché hanno in comune un fatto molto importante: la trasformazione digitale, perché si faccia, deve essere progettata tenendo in mente i più deboli, i paria digitali, quelli che un bellissimo articolo Medium Designit ha etichettato come i dimenticati o che nel mio ultimo libro ‘Platform Brand’ ho chiamato i disobbedienti.

Torno sui due episodi:

  • a me l’app Immuni piace tanto e ne riconosco lo sforzo pazzesco in velocità e qualità del prodotto finito. Ma la prima cosa a cui ho pensato, prima di leggere qualsiasi cosa scritta, è stata: “i miei genitori non la capirebbero, né saprebbero usarla”. Colorata, disegnata, con un linguaggio semplice e informale, si capisce che è stata progettata per un utente medio, che non significa qualsiasi utente. L’articolo del team Designit che citavo prima usa un esempio estremo ma immediato per criticare la sedicente human-centricity:

Il nostro design (mea culpa) è Occidente-centrico, uomo-centrico, borghese/ricco-centrico, giovane e urbano-centrico. Se sei una donna ormai di una certa età che viene da un villaggio distante 50 km a nord di Lusaka (Zambia), con 5 bimbi, 8 nipoti e una mucca, non ci saranno possibilità di comprenderlo.

  • Io so, o piuttosto spero davvero immaginando i budget dedicati alla formazione da un’azienda come quella dove lavora la consulente, che la stessa azienda sta parlando di trasformazione digitale almeno da 10 anni. Ci sta mettendo progetti, soldi, risorse, parole, azioni. I suoi Manager non perdono un solo palco di evento sul digitale per parlare della roadmap che hanno disegnato con grande cura nel tempo e con i loro sforzi. Il risultato quotidiano è però (anche) questo: dopo tutta questa formazione, questi investimenti, questi manifesti di intenti, questi sforzi, questi sprint, un utilizzo scorretto di LinkedIn e un messaggio a freddo di spam verso il customer, ovvero colui o colei che è (dovrebbe) essere il risultato finale dello sbattimento.

Il design non è mai neutrale, e spesso non è nemmeno inclusivo.

Se vogliamo che la trasformazione digitale diventi un fenomeno pervasivo e non solo un argomento per i piani editoriali di personal branding degli executive su LinkedIn, dobbiamo dimenticare la persona qualunque. Essa è infatti già di gran lunga più abile, pronta, ‘avanti’, smart (a livello digitale) della maggior parte delle persone che effettivamente useranno la piattaforma, il prodotto, il servizio.

Al contrario, la trasformazione digitale vera deve essere cucita pensando alle persone che di digitale non ne sanno proprio nulla. Che lo schifano, che non ci credono. Probabilmente che non hanno nemmeno lo smartphone, o che lo hanno per condividere tutto il giorno notizie di Lercio.it sui social network pensando siano vere. Deve essere pensata per coloro che, proprio per tutti questi motivi, rischiano di usare i mezzi in modo molto diverso, disobbediente e anarchico da quelli per cui sono stati pensati. Deve essere stimolata da personas raccapriccianti, costruite a partire dai nostri peggiori incubi digitali.

Quando abbiamo deciso di diventare professionisti del digitale di questo non ci avevano proprio avvertito, eh?

Ma solo così potremo davvero progettare in modo inclusivo, portare a bordo tutti e tutte al di là delle mode e delle retoriche. Raggiungendo così una trasformazione non solo di nome, ma anche di fatto.