C come connessa. Questo è il significato di cui si chiacchiera da anni tra esperti e professionisti di marketing e di trasformazione digitale: trasversale rispetto a età e provenienza geografica, la generazione C è fatta di persone sempre connesse e che hanno nello smartphone l’amico di mille avventure.
Al di là delle etichette nate e usate nel tempo – penso solo a Millennial, Centennial, Gen Z, … – il CEO di Hootsuite Ryan Holmes ha notato qualcosa di semplice ma interessante:
Non devi essere nato fra il 1980 e il 2000 per vivere attaccato al tuo iPhone o per essere attivo sui social media.
Riprendendo sempre Ryan Holmes, non c’è un limite per appartenere alla Gen C. A 15 o a 85 anni, si può esserne membri a pieno titolo. L’appartenenza non è definita nemmeno dallo stato socio-economico, dall’etnia o dai marcatori demografici. La Generazione C non rientra nei canoni di ricchezza o povertà, centro o periferia, giovinezza o vecchiaia. Semplicemente, la Generazione C è dappertutto.
La customer disloyalty suggerisce di cambiare lettera
Guardandomi intorno, credo però sia arrivato il momento di cambiare lettera: dalla C, alla D.
Se la lettera c è quella della connessione, o meglio della connettività, la d sottolinea la disconnessione. Non da web e social network, ci mancherebbe: la ricerca annuale di We Are Social e Hootsuite ne quantifica la crescita anche quest’anno. Piuttosto, dalle marche e dal loro marketing.
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Già la scorsa estate, Nielsen aveva dato l’allarme con un dato su tutti: il 92% delle persone sostiene di passare senza nostalgia da un brand a un altro. Più che di customer loyalty, come marketer dobbiamo iniziare a pensare alla customer disloyalty. E, più in generale, parlare di generazione disconnessa.
Proprio grazie a tutta questa connettività, infatti, i clienti si stanno appassionando al nuovo e alla scoperta di orizzonti inesplorati. In una parola (inglese, come spesso accade), fanno del newism uno dei valori più importanti del loro essere consumatori.
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Siamo sempre più esploratori attivi delle novità che i brand e le aziende hanno in serbo per noi. Interessandoci poco a loro, se non come elementi che possono farci vivere la vita che desideriamo o che abbiamo visto vivere dai nostri riferimenti (leggi: influencer).
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3 consigli ai brand alle prese con la Gen D
Troppa Gen C, ha portato la Gen D.
Un peccato e uno spreco, perché per anni abbiamo disegnato e ottimizzato i customer journey all’insegna della fidelizzazione. Per esempio, era ancora il ‘lontano’ 2009 e McKinsey, presentando il suo nuovo modello di consumer decision journey, parlava di loyalty loop.
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Tutto da rifare. Ma come?
Apro tre riflessioni personali sul modo con cui penso sarà necessario ripensare alle attività di customer engagement:
- Esplorare l’agile, anche nel marketing. Nei mercati anglosassoni se ne parla almeno da 4 o 5 anni, in Italia siamo agli albori dell’agile marketing. Agile come mindset, come approccio e come investimenti. Che dovranno essere meno impegnativi e meno focalizzati, orientati al contrario dal test & learn e da una continua attività di sperimentazione e growth hacking per potere ragionare a piani mobili. A proposito, ti consiglio il nuovo libro sull’agilità di Nico Spadoni.
- Disegnare il proprio brand storytelling. Ora come mai prima, sapere applicare adeguatamente lo storytelling per riflettere su di sé in quanto brand è essenziale. Non sto parlando della capacità di scegliere il filtro Instagram più accattivante o della scelta di aprire un canale su TikTok. Parlo di una riflessione che risponde a una domanda profonda: in questo mondo, qual è il posto del brand? Anche perché oggi c’è Amazon e, come ci ricorda il CEO di Plan A Andrew Essex, con Jeff Bezos non si scherza nemmeno nello storytelling.
Una volta, quelli di Energizer ci hanno persuaso di essere speciali, grazie a… un coniglio-giocattolo pieno di energia. Era una bella storia di marca, lo so; mi sono abituato al coniglietto e come conseguenza ho comprato un sacco di pile. Poi, Amazon ha trovato un modo di raccontare una storia diversa sulle batterie, una storia fatta di prezzo e velocità, una storia radicata nella narrazione autentica della convenienza. E nessun coniglietto, pur tenero che fosse, ha potuto competere
- Progettare per la customer disloyalty: ma se i clienti non vogliono più fidelizzarsi, per tante ragioni… perché dovremmo cercare di volerlo noi, come marketer? Ci comporteremmo come quei fidanzati che, abbandonati, cercano in tutti i modi di riconquistare l’amata con risultati non solo scarsi, ma soprattutto comici. Al contrario, mostrare il proprio coraggio (brand bravery) e passare da marche a mezzi di comunicazione sta portando alcune aziende a risultati eccezionali. Citofonare Diesel, che in una recente campagna a sostegno del Pride ha perso migliaia di follower… e proprio per questo li ha ringraziati.
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