Content-Driven Experience, Systems Thinking e Integrated X Design per il tuo CX Toolkit

Dalla pubblicazione dei primi studi sull’Experience Economy verso la fine del vecchio millennio, le ricerche sull’impatto della variabile esperienziale per il successo del business sono moltiplicate.

Solo come esempio, ecco alcuni numeri a supporto:

  • Il numero di citazioni della parola “customer experience” su Google Scholar, il principale motore di ricerca di contenuti di carattere accademico–scientifico: più di 40.000 solo nel 2018 😮
  • La variazione nel tempo della portata della stessa keyword “customer experience” su Google Trends: la figura sotto mostra con chiarezza il trend crescente nel tempo su scala globale, nonché un’accelerazione delle ricerche – quindi verosimilmente anche dell’interesse delle persone per l’argomento – a partire dal 2012.

Non a caso, le aziende con una visione “orientata al domani” non esitano a definire architetture, risorse e processi per eccellere nella progettazione di esperienze, registrando al contempo migliori prestazioni su indicatori di profittabilità, qualità, capacità di trattenere e fidelizzare i clienti.

“In un mercato che diventa “commodizzato” la customer experience si rivela un elemento di differenziazione. Nel momento in cui così tanti prodotti sono simili, tutto si gioca sulla giusta integrazione dell’esperienza che offrite con le aspettative del mercato.”

Oppure, per dirla con le “parole LinkedIn” dell’amica e collega Alice Morrone:

Fare leva sugli attributi esperienziali diventa quindi di importanza decisiva. Lo scenario digitale ha poi enormemente accelerato le opportunità di impatto della stessa CX: social media, app mobile, bot, VR / AR non sono semplici sigle, ma veri e propri mondi e lenti utili per tracciare gli orizzonti della CX.

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Tra personale e sociale: due lati della customer experience abilitata dal digitale

Di per sé, le esperienze sono sia fenomeni altamente soggettivi, contestuali e personali sia “oggetti sociali”, per almeno due motivi:

  • Esse devono essere “socializzate” dalle aziende per i principi dello storytelling, secondo cui il valore della business experience sta nella capacità di condividerla in una forma unica, originale, soggettiva, personalizzata e filtrata dalla propria specificità. L’impresa narrativa è quella che raccoglie in sé l’esperienza e la rielabora, trasformandola.
  • Il valore finale delle esperienze può andare oltre il contesto del singolo, espandendosi a macchia d’olio all’interno dei diversi network. La rete trasforma poi tali esperienze condivise in “tracce” pubbliche, ricercabili (attraverso motori di ricerca e sistemi di content curation) e permanenti. Le esperienze di un singolo individuo diventano così elementi di forte impatto per altre persone che non sono ancora entrate in contatto con gli asset aziendali e il mondo di marca. Le marche, da erogatrici di esperienze, sono così al contempo continuamente (ri)definite e (ri)modulate dalla somma delle stesse esperienze condivise dagli individui.

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Quanto scritto finora permette di comprendere pienamente l’importanza della customer experience per il business. Ma come riuscire a passare “dal dire al fare”?

  • Oggi il valore si genera soprattutto attraverso content-driven experience. Uno studio svolto nel 2013 da J. Walter Thompson in US e UK su un campione di 1016 adulti rivela che l’81% dei Millennials, ma anche il 79% dei membri della Generazione X e il 78% dei Baby Boomers, attribuisce più valore alle esperienze che agli oggetti materiali. Il 64% in media di questi tre gruppi spenderebbe infatti più volentieri il suo denaro per fruire di un’esperienza che per un prodotto. Ovviamente, prodotti e servizi – digitali o meno – continuano a essere apprezzati e intensamente consumati. Ma le persone stanno capendo che la dimensione dell’esperienza costituisce un altro livello di soddisfazione e gratificazione, ricercandola in modo sempre più consapevole. Questo impone alle aziende un nuovo paradigma: quello di creare content-driven experience di qualità e pertinenti alla marca, da cui i loro clienti possano essere attratti in un contesto in cui un numero crescente di concorrenti sta facendo altrettanto. Un’impresa che ha compreso a fondo tutto questo è Red Bull. La marca iconica ha saputo dapprima sviluppare un formidabile branded content e poi proporre ai suoi fan esperienze legate all’esplorazione dei propri limiti nell’ambito degli sport estremi e dell’avventura. Se nel sito di Red Bull il prodotto quasi non compare non è un caso. Oggi questa azienda vende soprattutto contenuti e coinvolge i consumatori in esperienze ad alto tasso di adrenalina, di cui la bibita è una sorta di corollario – efficace!
  • Il digitale consente di creare interi ecosistemi di esperienze. Questo aspetto, mutuato dalla teoria e dalle pratiche di systems thinking, è puntualizzato da Daniel Newman e Olivier Blanchard in “Building Dragons: Digital Transformation in the Experience Economy”:

“Il digitale consente alle imprese di creare interi ecosistemi di esperienze per i loro clienti (e dipendenti) che nell’era pre-digitale non erano tecnicamente possibili, e tantomeno economicamente vantaggiosi. Grazie alla combinazione di tecnologia mobile, canali social, cloud computing, e accesso ai dati, la capacità di un’impresa di progettare e assicurare regolarmente esperienze straordinarie e personalizzate ai suoi clienti, su scala e attraverso qualunque touchpoint nel suo ecosistema di business, è senza paragoni.”

Ogni impresa ha di fronte a sé una gamma ampia e crescente di opzioni attraverso le quali stimolare le relazioni con i pubblici. Per accelerare la creazione di tali ecosistemi, è anche possibile fare leva su connettori esperienziali capaci di fungere da collante e filo rosso per le esperienze di marca. La “sicilianità” è il connettore esperienziale che permette alla casa di moda Dolce & Gabbana di progettare un ricco portafoglio di esperienze integrate. Il miglior esempio di tali ecosistemi di esperienze è probabilmente costituito da Apple: l’enorme successo che il pubblico decreta a questa marca si deve in larga misura a un ecosistema tecnologico e di business particolarmente capace di garantire esperienze convergenti e integrate.

  • È fondamentale allineare l’experience design all’esterno e all’interno dell’organizzazione. Anche l’edizione 2018 dell’Edelman Trust Barometer vede la voce dei dipendenti come uno dei touch point aziendali più credibili ed efficaci: un indicatore importante del ruolo delle persone non solo in quanto (bravi) lavoratori, ma anche come efficaci e appassionati advocate delle interazioni verso le audience esterne. La progettazione dell’esperienza deve dunque adottare un approccio olistico. Non solo, ma le esperienze sui due fronti devono essere quanto possibile allineate, in modo da rinforzarsi a vicenda. Certi ambienti di lavoro tendono a indurre delusione, apatia, cinismo e un generale stato di disimpegno; altri invece stimolano eccitazione, motivazione, impegno e perfino fidelizzazione. Quando i consumatori entrano in contatto con ambienti del primo tipo, le esperienze difficilmente possono essere gradevoli; nei secondi per contro vengono facilmente contagiati dal clima positivo. Questo può essere visto come un ciclo esperienziale continuo che va dall’interno all’esterno, e viceversa: ciò che conta in tale ragionamento è la trasversalità delle esperienze.

Il tuo brand è pronto per l’Experience Wave?

In un paper pubblicato nel 2017 su Brand Quarterly insieme a Joseph Sassoon, avevamo parlato di experience wave. Già nel “lontano” 2015, Airbnb ha deciso di rinominare il proprio Direttore HR in Chief Employee Experience Officer. Realtà come Diageo e YouTube hanno al proprio interno figure come l’Head of Culture, abilitate all’analisi delle principali tendenze del momento al fine di connettere meglio il brand con gli utenti.

Si tratta non solo di innovazioni nel mercato delle professioni, ma anche di segnali inequivocabili della “svolta esperienziale” dei business. Esperienza che deve (per esempio) essere creata verso i dipendenti per aumentare il loro livello di soddisfazione interna, oppure “raccolta” attraverso i diversi stimoli provenienti dalle persone al fine di potere arricchire l’offerta di prodotti e servizi.

Le aziende saranno pronte per fare questi passi? Dalle analisi sulle eccellenze della CX fatte annualmente da KPMG (anche in Italia), sembra proprio che il processo sia iniziato… e che sia convincente 🤑