Covid-19: il mondo (del marketing) che verrà. Episodio 1

Covid-19 ci ha costretto a rallentare. A volte, a fermarci proprio. Quale momento migliore per ragionare sul futuro? Nel mio caso del marketing, del servizio e dell’experience.

Anche perché, molto probabilmente, abbiamo ancora un po’ (!) di tempo davanti. Tanto vale metterci la testa, e questo articolo vuole essere un inizio; un episodio 1, insomma.

Coronavirus e Cigni Neri

Prima di iniziare, una premessa su cui ragionavo insieme ad Alessandro Giaume pochi giorni fa. C’è chi dice che Covid-19 sia un Cigno Nero. Questa è, per esempio, la prospettiva privilegiata di Andrea Porcu, direttore generale del Centro Medico Santagostino (per intenderci, la principale rete privata di Poliambulatori della Lombardia).

Per “cigno nero” si intende un evento non prevedibile, con impatti notevolmente rilevanti per il sistema su cui impatta.

Già da questa citazione tradotta dal pensiero di Nassim Taleb, il matematico e filosofo che ha parlato per primo di Cigni Neri nell’omonimo libro, appare più chiaro come sia difficile legare il concetto al caso di Covid-19. In un TED del 2015, Bill Gates ci ammoniva già di attrezzarci e prepararci a un avversario trasparente e invisibile come un virus.

Certamente, comunque, gli impatti di Covid-19 si stanno rivelando esplosivi. Per la salute, per la sanità, per il business. A proposito di business, dunque: what’s next?

“Questo non è il momento buono per vendere”

Ormai è molto chiaro: purtroppo, questo non è il momento di vendere. Così inizia il report preparato da Ogilvy dedicato a come fare marketing in turbulent times. È il momento per fare altro.

Ci sono settori che stanno vedendo picchi di attività inimmaginabili – penso ad Amazon che in questo periodo sta gestendo volumi di domanda anche 10x rispetto ai numeri stagionali standard – ma per la maggioranza delle industrie e delle attività marzo, aprile, forse maggio e tutti i mesi che seguiranno come coda lunga saranno duri. Durissimi. A livello micro, e macro. Penso per esempio a settori come quello del Foodservice, ovvero dei ristoranti e del fuori-casa, su cui ho fatto già alcune riflessioni negli articoli “Covid-19 e Foodservice: come comunicare la Food Passion?” e “Covid-19 e Dark Kitchen, il futuro che verrà?”. O ancora del travel e del turismo, pronti al peggio e che stanno affrontando cali di domande e prenotazioni vicine al 100%.

Perché non siamo in guerra (ma se Covid-19 fosse una persona…)

Nonostante tutto, però, non siamo in guerra. Esserlo significherebbe avere un nemico da colpire, o comunque verso cui indirizzare armi e strumenti. Così non è: il nostro nemico ha le sembianze e il colore dell’aria. Anche se gli effetti sul corpo sì, sono simili a quelli di una guerra.

Inoltre, se fossimo in guerra al suo fine potremmo pensare alla ricostruzione. Al contrario, dovremo prepararci a un tempo di alti e bassi.

Ma torniamo al discorso. Da professionisti, un esercizio utile che possiamo fare per “dare una forma” all’oggetto Covid-19 è antropomorfizzarlo.

L’antropomorfismo è l’attribuzione di caratteristiche e qualità umane ad esseri animati o inanimati o a fenomeni naturali o soprannaturali.

Antropomorfizzare, nel marketing, è un fenomeno comune: lo si fa con i brand, per esempio, per dargli maggiore concretezza e poterne comunicare meglio l’identità. Proviamo a fare lo stesso esercizio con il Coronavirus e chiediamoci: se fosse una persona, come sarebbe a livello di tratti, personalità, fisico?

E allora, Covid-19…

  1. è straniero (Cinese);
  2. viene da zone periferiche, di mercati e mercanteggiamenti;
  3. è solitario;
  4. è magrolino e snello;
  5. [in modo contro-intuitivo rispetto al punto 4] è molto forte;
  6. non solo è forte. Ha una forza esplosiva e contagiosa;
  7. è dunque e in qualche modo irresistibile;
  8. è infido, sempre pronto a colpire (fatalmente) alle spalle;
  9. [per tutti i motivi sopra] è totalmente inaffidabile.

Come ben segnalato dal mio amico, collega e co-autore Joseph Sassoon dopo un confronto con il Prof. Alexander Linder nell’articolo “Fighting the Unknown: The Powerful Symbolism of the Coronavirus Crisis”, un’ulteriore caratteristica di Covid-19 deve fare riflettere: il nome.

When magnified, with its ‘corona’ (crown) it appears at the same time beautiful and horrific.

“Coronavirus”, in effetti, è un nome esplosivo e altisonante. Regale e killer allo stesso tempo – citofonare a Birra Corona per credere.

Good time, for a (marketing) change.

Quello che sappiamo, è che Covid-19 cambierà le nostre routine. Forse per un anno o due; forse per sempre. Ricordiamo le parole di Ogilvy di inizio articolo: questo non è un buon momento per vendere. Ma è comunque indispensabile fare. Nella seconda puntata, cercherò di organizzare un po’ i pensieri rispetto a come si stanno muovendo aziende e brand e come sta cambiando il concetto di reputazione aziendale.

Per ora, è tutto. Chiudo con una frase di Giuseppe Sala, che poi è il bravissimo sindaco della mia bellissima città.

Niente sarà come prima, ma vedremo se qualcosa diventerà meglio di prima.

La userò sempre, in queste uscite dedicate al futuro del marketing post Covid-19.

Alla prossima.